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Il pittore francese Louis-Jacques-Mandé Daguerre fu portato a sperimentare il processo fotografico dalla sua passione per l’arte e per l’illusione; egli aveva infatti aperto due Diorami, esibizioni pittoriche arricchite da effetti dovuti a continui cambiamenti di luce, a Parigi e a Londra.
Nel 1829 egli iniziò una collaborazione con Joseph Nicéphore Niépce e suo figlio Isidore, ai quali è attribuita la prima fotografia permanente scattata tra il 1826 e il 1827 dal terrazzo della sua abitazione.
Nel gennaio 1839 l’Accademia delle scienze francese annuncia l’invenzione del processo del dagherrotipo.
Si tratta di una placca di metallo, ricoperta da una sottile foglia di argento puro, cosparsa di iodio. Deve essere usata entro un’ora dalla sua preparazione, collocandola in una camera oscura dotata di obiettivo. Il tempo di posa varia da 15 a 30 minuti e l’immagine verrà poi resa visibile in seguito allo sviluppo effettuato con vapori di mercurio.
Si tratta di un’immagine positiva, cioè con il bianco e il nero non invertiti, finissima nei dettagli e nelle ombre ed è un pezzo unico non riproducibile.
Il governo francese acquistò i diritti per l’utilizzo pubblico del dagherrotipo e fu assegnata a Isidore e Daguerre una pensione a tempo indeterminato.
Il processo del dagherrotipo si diffuse in tutta Europa anche grazie a un manuale scritto da Daguerre stesso poi tradotto in diverse lingue e alla diminuzione dei tempi di esposizione possibile grazie ai progressi della chimica, divenendo il principale metodo per creare fotografie.
Tuttavia la dagherrotipia verrà presto accantonata a favore nel nuovo metodo introdotto dall’inglese William Henry Fox Talbot, di cui parleremo al prossima volta. (trovate l’articolo qui: Talbot e il negativo – Storia della fotografia)
Articolo scritto da Sara
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