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Il triangolo dell’esposizione, clicca sull’immagine per aprirla ad alta risoluzione.

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Questo articolo fa parte del Corso di Fotografia Digitale Online.

Una fotografia è fatta di luce. ISO, diaframmi e tempi di esposizione servono a regolare la quantità di luce che andrà a colpire il sensore o la pellicola della nostra macchina fotografica.

  • ISO: indicano quanto è sensibile alla luce il sensore. Più sono bassi meno è sensibile, mentre più sono alti più è sensibile alla luce.
  • DIAFRAMMI: più le lamelle del diaframma sono aperte più luce entrerà, viceversa, più sono chiuse meno luce entrerà, a seconda dell’apertura del diaframma varierà l’ampiezza del fascio di luce. I valori vanno da numeri bassi, quasi sempre con la virgola a numeri più alti. I numeri bassi aprono il diaframma, mentre i numeri alti lo chiudono: se ho il diaframma a F2.8 sarà molto aperto, se sarà a F22 sarà molto chiuso.
  • TEMPI: quando si parla di tempi di scatto si intende per quanto tempo la luce colpirà il sensore. Più lungo è il tempo maggiore sarà la quantità di luce che verrà registrata nella fotografia, l’unità di riferimento è il secondo e di solito una posa di un secondo è considerata lunga. Per foto in condizioni di luce normali i tempi sono decisamente più brevi, frazioni di secondo. Per esempio un tempo di 1/125 vuol dire che si è impostata una velocità di scatto di 1/125 di secondo. Sulla ghiera dei tempi o sul vostro display digitale che avete sulla macchina fotografica potreste trovare indicato 60, 125, 250, 500 ecc… non si tratta di secondi ma di frazioni di secondo (quindi 1/60, 1/125, 1/250 ecc…).

Riassumendo per fare entrare più luce dovremo usare pellicole più sensibili o nel caso della fotografia digitale alzare gli ISO, aprire il diaframma (numeri bassi) e impostare tempi più lunghi, viceversa se si vuole far entrare poca luce.

Vediamo più in dettaglio i concetti appena illustrati.

La profondità di campo e il diaframma

Foto di Edgaa – Flickr.com/photos/edgaa/

Nel capitolo in cui spiego il funzionamento di una macchina fotografica abbiamo visto in generale come funziona e a cosa serve il diaframma, qui ne parlerò più in dettaglio e spiegherò il concetto di profondità di campo (PDC).

Quando si mette a fuoco una scena solo un piano sarà veramente nitido, si tratta di un’area di dimensioni molto variabili, chiamata profondità di campo; detto semplicemente la PDC è lo spazio che ci appare nitido davanti e dietro al nostro soggetto. Però attenzione, ricordatevi che realmente c’è un solo piano che risulta a fuoco!

La PDC è influenzata da tre fattori:

  • Apertura del diaframma.
  • Lunghezza focale.
  • Distanza tra il soggetto e l’obiettivo.
  • Grandezza del sensore.

A diaframmi più chiusi corrisponde una maggiore profondità di campo, mentre diaframmi più aperti come f1.4 (o anche f2.8) corrisponde una minore profondità di campo, più il diaframma è aperto più largo è il fascio di luce che disegna l’immagine sul sensore, viceversa, più chiuso è il diaframma più fine e quindi più preciso sarà il fascio di luce che disegna la nostra immagine, per questo avremo una maggiore zona di nitidezza davanti e dietro il soggetto. Attenzione, a diaframmi troppo chiusi si può incappare in un particolare fenomeno, ovvero la diffrazione, la quale comporta una perdita di nitidezza.

Impostando la fotocamera in manuale o a priorità di apertura avete la possibilità di ampliare o ridurre la PDC.

Se per esempio impostiamo il diaframma a f16 avremo una notevole PDC, in sostanza avremo una porzione maggiore dell’area nitida davanti e dietro il piano di messa a fuoco, un’apertura del genere viene usata solitamente nella fotografia paesaggistica.

Lasciando inalterato il diaframma e mantenendo la stessa distanza fotocamera – soggetto e aumentando la lunghezza focale diminuisce la PDC, aumenta invece usando focali grandangolari, mentre maggiore è la distanza del soggetto dall’obiettivo, più ampia è la PDC, viceversa più vi avvicinate al soggetto meno profondità di campo avrete.

Per questo motivo nei paesaggi conviene usare i grandangolari, in modo da avere tutto a fuoco (ma anche per catturare una maggiore porzione di paesaggio) e i teleobiettivi nei ritratti perché permettono di sfocare facilmente lo sfondo. Molti sostengono che la PDC è maggiore nel digitale rispetto alla pellicola, questo è parzialmente vero e vale solo per le fotocamere che hanno sensori più piccoli del full frame.

Con una reflex dotata di sensore APS-C, il quale è più piccolo rispetto a un Full Frame si effettua in sostanza un ritaglio della parte centrale della foto, col risultato che sembra fatta con una focale più spinta, entra in gioco un fattore di moltiplicazione della focale che nel caso dell’APS-C è di 1,5 circa, per esempio un 35mm per il formato APS-C darà un inquadratura pari ad un 48mm in formato pieno, la PDC quindi resta la stessa perché legata solo al diaframma e alla lunghezza focale dell’ottica.

Ecco alcuni scatti effettuati a diversi diaframmi e lunghezze focali per farvi vedere come varia la PDC (Le foto di esempio sono state realizzate da Davidd):

Come avete appena visto dalle foto di esempio per staccare il soggetto dallo sfondo è meglio usare un diaframma aperto.

Una delle domande che maggiormente mi vengono poste soprattutto dai nuovi fotoamatori è se esiste un diaframma migliore, la risposta è semplice, dipende tutto dal risultato che si vuole ottenere, io uso quando posso uso diaframmi intermedi, i quali dovrebbero darmi una buona qualità dell’immagine, questo perché a diaframmi intermedi come f11 si sfrutta la parte centrale dell’ottica che è quella di maggiore qualità e non si rischia di incorrere nella diffrazione, ma tutto dipende dalla grandezza del sensore, più piccolo è quest’ultimo maggiore sarà la PDC a parità di diaframma, per esempio,

Tempi di esposizione

Sono un altro parametro con cui possiamo dosare la luce, grazie all’otturatore possiamo decidere la durata dell’esposizione, a parità di diaframma, un tempo lento farà passare più luce rispetto ad un tempo rapido, tempo d’otturazione e apertura del diaframma regolano l’esatta quantità di luce da far arrivare al sensore.
I tempi vengono indicati in frazioni di secondo, eccone alcuni:

1/2 – 1/4 – 1/8 – 1/15 – 1/30 – 1/60 – 1/125 – 1/250 – 1/500 – 1/1000 – 1/2000 – 1/4000 – 1/8000

Oltre questi che vi ho indicato le fotocamere permettono di usare anche frazioni intermedie per cui possiamo avere per esempio anche un tempo di 1/200 e di 1/800.

Tutte le reflex permetto di usare la posa B (bulb) che permette l’uso di tempi molto lunghi (secondi, minuti o ore), la posa B torna utile in generi fotografici come la fotografia notturna. Quando si imposta la posa B l’otturatore viene aperto alla pressione del pulsante di scatto e viene chiuso quando il pulsante viene rilasciato, esiste anche la posa T che funziona in modo simile, premendo il pulsante inizia l’esposizione e ripremendolo finisce, in entrambi i casi si rischia di muovere la fotocamera, per questo conviene usare il telecomando o l’autoscatto.

I tempi di scatto vengono distinti in lenti e rapidi, si possono definire lenti quelli più lunghi di 1/60, sono rapidi i tempi più brevi 1/60, tutto dipende dalla focale in uso, dalla velocità del soggetto fotografato e dalla distanza che ci separa da esso, con un teleobiettivo generalmente 1/60 è considerato un tempo lento e si avranno foto mosse se il soggetto è in movimento, mentre con un grandangolo spinto 1/60 può andare bene per congelare il movimento.

Se dobbiamo fotografare un soggetto statico e non possiamo alzare gli ISO o modificare l’apertura del diaframma l’unica è usare tempi lunghi evitando il mosso generato dalle vibrazioni della nostra mano con l’ausilio di un cavalletto.

La giusta quantità di luce è data da una determinata combinazione di tempo e diaframma, corrispondente a un certo valore di esposizione. I valori di esposizione EV indicano la luminosità del soggetto inquadrato mediante una scala di numeri, la tabella in alto illustra le combinazioni tempo-diaframma e il relativo valore EV.

Vediamo più in dettaglio cosa sono gli EV

EV (exposition value) sta per valore di esposizione, è relazionato alla luminosità della scena e alla sensibilità ISO del sensore, in sintesi gli EV possono essere considerati l’unità di misura della luce.

Quando la luce varia di un EV per compensare basta spostarsi di un tempo o di un diaframma, quindi se la luce aumenta di un EV significa che per far giungere la corretta intensità luminosa al sensore basta chiudere di un diaframma o impostare un tempo più rapido e viceversa. Però il tempo ed il diaframma non cambiano solo in base all’intensità della luce ma anche in base alla sensibilità ISO impostata.

Il valore EV è riferito a una sensibilità di 100 ISO. Se varia la sensibilità si dovrà compensare la variazione con una differente coppia tempo / diaframma. Ad esempio, se passo da 100 ISO a 200 ISO dovrò dimezzare il tempo di esposizione o l’apertura del diaframma.

Per calcolare EV, tempi e diaframmi un tempo si usava la tabella che avete visto prima, oggi si usa l’esposimetro che tutte le fotocamere di nuova generazione hanno incorporato.

Apertura dell’obiettivo e tempo d’esposizione, ovvero diaframma e otturatore influiscono entrambi sull’immagine in due modi diversi.

La coppia tempo – diaframma

1°) Modificando la quantità di luce che arriva al sensore: il diaframma ne muta l’intensità, l’otturatore ne varia il tempo.

2°) Ciascuno esercita sull’immagine un effetto diverso, il diaframma modifica la profondità di campo, mentre il tempo di esposizione se il soggetto è in movimento, a seconda del tempo impostato possiamo congelare il movimento (usando tempi rapidi) o provocare un effetto mosso (usando tempi lunghi).

Per registrare chiaramente l’immagine il sensore deve ricevere la giusta quantità di luce. Esistono delle combinazioni tempo – diaframma per cui usare un tempo d’esposizione breve con un diaframma aperto o un tempo d’esposizione lungo con un diaframma chiuso è ininfluente, almeno per quanto riguarda la quantità di luce che arriva al sensore.

Il grafico mostra i rapporti di raddoppio e di dimezzamento fra diaframmi e tempi, usando questi valori potete modificare l’effetto sull’immagine facendo entrare sempre la stessa quantità di luce.

Tra le foto ci sono solo piccole variazioni per quanto riguarda la luminosità (per via del repentino cambiamento della luce naturale e di altri fattori determinati dalla fotocamera), gli unici cambiamenti palesi sono nella PDC e nell’effetto mosso.

La Sensibilità ISO

Quando per via della scarsa illuminazione non è possibile variare il tempo di esposizione o il diaframma oltre un certo limite ci viene in aiuto la regolazione della sensibilità ISO.

La sensibilità alla luce di un sensore viene definita nello standard ISO (International Standard Organization), nella pellicola veniva definito ASA, per variare gli ASA bisognava cambiare la pellicola, mentre in epoca digitale la sensibilità alla luce può essere regolata a nostro piacimento, più la tecnologia progredisce più i sensori riescono ad aumentare gli ISO senza presentare rumore elettronico.

A ogni raddoppio degli ISO corrisponde un raddoppio della sensibilità alla luce del sensore (e viceversa ad ogni dimezzamento del valore si ha un dimezzamento di sensibilità), per esempio a 200 ISO possiamo fotografare con un tempo d’otturazione o a un’apertura di diaframma dimezzati rispetto a quelli necessari a 100 ISO.

ESEMPIO PRATICO – ISO TEST

ISO 200 f/11 1/60sec.

 

ISO 800 f/11 1/60sec.

 

ISO 3200 f/11 1/60sec.

In questo test si nota come alzando gli ISO e mantenendo invariati tempi e diaframmi aumenta la luminosità della scena inquadrata, questo però a costo della comparsa del rumore e di una conseguente perdita di dettaglio.

Ma che valori settare di ISO?

In condizioni di luce ottimale (che sia in esterni o in studio) è conveniente lasciare i valori ISO a un livello standard che di solito è 100 o 200 ISO a seconda della fotocamera digitale.

Cercate di non alzare mai gli ISO e di trovare prima una soluzione accettabile regolando il diaframma e il tempo di esposizione, se ciò non fosse possibile perché la luce comincia a scarseggiare imponendovi tempi di posa troppo lunghi alzate la sensibilità al minimo indispensabile per avere tempi di scatto rapidi e diaframmi non troppo aperti.

Vi dico questo perché aumentando la sensibilità ISO aumenta il rumore elettronico, ovvero una maggiore amplificazione elettronica del segnale digitale che provoca la comparsa dell’effetto di grana digitale e del rumore di croma, ossia puntini rossi o blu, l’immagine di conseguenza diventa meno nitida. In alcuni generi fotografici che richiedono un elevato dettaglio dell’immagine come ad esempio la fotografia di moda non si dovrebbero mai alzare gli ISO.

Alle volte però questo effetto di grana causato dal rumore può essere usato a nostro vantaggio in post produzione, per esempio nel bianco e nero può dare un tocco in più alla foto.

Attenzione, alcune fotocamere con una sensibilità “nativa” pari a 200 ISO possono scattare a 100 ISO in modalità estesa. A 200 ISO il sensore è in grado di lavorare nelle condizioni ottimali e di fornire il massimo delle prestazioni, la possibilità di abbassare la sensibilità a 100 ISO è semplicemente una comodità per le situazioni con molta luce, dove non vogliamo cambiare la combinazione tempo / diaframma.

Questo abbassamento della sensibilità è ottenuto via software, abbassando la “luminosità” dell’immagine, in pratica è la stessa di quando si recuperano foto sovraesposte con camera raw. Questo comporta meno gamma dinamica e minor corrispondenza dei colori rispetto ad una foto esposta correttamente.

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