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Questo articolo fa parte del Corso di Fotografia Digitale Online.
Documentaria è la fotografia della polizia scattata sul posto di un delitto. Quello è un documento. Vedi bene che l’arte è senza utilità, mentre un documento ha un’utilità. Per questo l’arte non è mai un documento, ma può adottarne lo stile. È quello che faccio io. – Walker Evans
Questa “corrente” fotografica ha le sue controversie nel termine stesso, ovvero, la funzione di documento della fotografia era una cosa già assodata dai primi del 900, e in quanto tale, nel periodo storico in questione, non poteva essere considerata forma d’arte in quanto la caratteristica del documento è il riprodurre la condizione reale con estrema chiarezza, l’immagine deve avere un fine, un utilità, mentre l’arte tali funzioni non le aveva minimamente.
Il concetto stesso di documento, prevede una chiara identificazione del soggetto fotografato (un esempio su tutti è il documento d’ identità, la cui foto viene sempre eseguita frontalmente per consentire il facile riconoscimento del soggetto), a seconda dell’ambito può o meno richiedere anche una contestualizzazione, cosa molto importante richiede imparzialità di veduta (una casa la fotograferò frontalmente e magari ne farò più scatti al fine di illustrare al meglio com‘è lo stabile, non se mi piace o non mi piace).
La fotografia documentaria nacque in Inghilterra nel 1877 grazie a due reporter londinesi John Thomson e Adolph Smith che immortalarono i quartieri più poveri della città.
Ma l’uso del termine “documentario” associato alla fotografia compare solo intorno agli anni ‘20, esso è preso in prestito dal cinema e i primi riferimenti dell’uso di questo termine compaiono in Europa.
Gran parte dei testi fa risalire gli albori della fotografia documentaria alla depressione economica degli Stati Uniti e ai lavori del FSA (Farm security administration, organizzazione voluta dal presidente Roosevelt che aveva per fine la documentazione di diverse condizioni sociali negli stati uniti) ma ciò è vero solo in parte; vediamo di chiarire il perché di questa affermazione; prenderò ad esempio due “grandi nomi” della fotografia documentaristica, Walker Evans, Americano e l’altro Tedesco, August Sander.
Andando a visionare le opere di questi due fotografi si noterà subito una modalità di ripresa volta alla massima nitidezza delle immagini rappresentate (i soggetti sono quasi sempre ripresi frontalmente, e riempiono l’immagine), spesso, se non sempre, le immagini sono studiate fin nei dettagli e non frutto di uno scatto “istintivo”; Osservando le differenze che corrono tra i due fotografi presi in esame (a onor del vero va detto che tra i due corre quasi un decennio) si potrà notare una differente modalità di interpretazione delle immagini. Mentre Evans cura parecchio la forma e “l’asetticità” del soggetto, Sander lo contestualizza nel suo ambito di appartenenza, l’unico vero comune denominatore tra i due è il distacco dall’immagine al fine di evidenziare una realtà nuda e cruda.
Walker Evans, si riteneva un’artista e le sue foto non erano fatte con finalità politiche o sociali (come invece potevano essere gli intenti di Lewis Hine o una contemporanea come Dorothea Lange) lui stesso non si considera un “documentarista” ma sosteneva di utilizzare uno “stile documentaristico” per fare foto artistiche.
Successori di Evans furono negli anni ’60 e ’70 Garry Winogrand e Lee Friedlander.
Avendo chiarito cosa in realtà si intende (o si intendeva) con genere documentaristico ritorno a quanto si diceva all’inizio in merito agli esordi di tale forma di fotografia, ovvero se con genere documentaristico si intende quello applicato da Evans e Sanders (che ha il merito di averci fornito uno tra i più ampi archivi di gente comune e lavoratori di vari mestieri) allora si, ma se si pensa alla definizione di detto stile come a un sinonimo di reportage, come oggi viene comunemente interpretato, allora direi che gli esempi di tale genere risalgono a parecchio prima.
Una considerazione personale in merito a quanto scritto qui, quando ho cominciato a fare fotografia pensavo che tutte queste cose fossero solo discussioni futili su un termine piuttosto che un altro (documento o documentario, che differenza c’è?!..); ad oggi però mi sono reso conto che, come in una frase sono le parole giuste che la rendono grande, nella fotografia sono i piccoli dettagli, quelle “parole” che ad una fotografia possono dare un senso compiuto.
Articolo originale di Alessandro Cappelli modificato e rielaborato da Marco Crupi
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