Questo articolo fa parte della rubrica: Fotografi
Comprendere il lavoro di Bernd ed Hilla Becher vuol dire trovare il punto in cui arte e tecnica convivono e diventano essenziali l’una per l’altra.
Questi due fotografi tedeschi, uniti nella vita privata oltre che dalla loro attività, dalla fine degli anni Cinquanta hanno svolto un’indagine profonda sul mezzo fotografico come importante strumento di conoscenza del territorio industriale, in grande espansione proprio dalla seconda metà del secolo.
La visione dei Becher è fondamentale, per cominciare, in quanto con essi la fotografia giunge ad un inedito distacco dall’emotività che invece, fin dalla sua nascita, aveva ricercato: in origine, infatti, la fotografia ha lottato ardentemente per raggiungere una considerazione pari a quella di forme artistiche quali la pittura, il disegno e la scultura, dalle quali però era lontana a causa della freddezza propria della tecnologia. Così personalità quali Cartier-Bresson, Ansel Adams o Eugéne Atget hanno cercato di conferire ai loro scatti un’anima, di far emergere nei loro soggetti un’emotività che li rendesse più vicini possibile al concetto di arte, di scattare “quando si allineano, soggetto, occhio e cuore“. (H.C. Bresson)
Bernd e Hilla Becher rovesciano invece questa mentalità cercando di riportare il mezzo fotografico al valore originale di freddo ed impersonale testimone della realtà, e documentando ciò che di più impersonale poteva esistere al tramonto degli anni Cinquanta: il mondo industriale.
Definiti dagli stessi Becher “sculture anonime”, gli scenari appartenenti all’industria e alla fabbrica sono i soggetti prediletti dei loro lavori, nei quali la figura umana è totalmente assente. Acquedotti, edifici, pozzi, ed altre tipologie simili di fabbricati occupano prepotentemente l’intera superficie offrendoci un’analisi accurata del mondo che nasceva in quel momento, e che negli anni si modificava.
Se presi singolarmente questi soggetti rimangono una semplice registrazione di un’architettura, tramite l’azione dei Becher il lavoro finale acquista una valenza diversa.
I due coniugi infatti creano dei lavori seriali, nei quali vengono raggruppati scatti (sempre in bianco e nero) che ritraggono costruzioni quasi identiche tra loro e perfettamente centrate nello spazio; tuttavia l’accostamento di soggetti quasi identici, paradossalmente ne accentua le differenze che, seppur lievi, saltano immediatamente all’occhio.
La serialità di queste immagini, se da un lato accresce la monumentalità dei fabbricati, dall’altro sottolinea la loro asetticità. Possiamo dire che l’atteggiamento freddo e distaccato dei Becher, quindi, coincida con l’impersonalità verso la quale il mondo industriale degli anni Cinquanta-Sessanta aveva orientato il modo di concepire l’architettura. Saranno proprio l’essenzialità dell’immagine e la serialità degli scatti a fare di Bernd ed Hilla Becher i precursori, in fotografia, di due tra i maggiori movimenti degli anni Sessanta: il Concettuale ed il Minimalismo.
Non bisogna dimenticare infine che i Becher svolsero, parallelamente all’attività di fotografi, anche quella di insegnanti, una caratteristica imprescindibile se si considera il valore didattico che può assumere la fotografia come imparziale registrazione di una realtà, in questo caso quella dell’archeologia industriale.
Lea Ficca
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