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Il seguente articolo è stato scritto da Max Allegritti.
Ricordo ancora quella domenica di settembre, a pranzo dai miei genitori. C’era una luce intensa che illuminava il volto di mia sorella, con la quale discutevo sulle difficoltà che avevo in ufficio. Era il 2007, lavoravo come impiegato in una multinazionale metalmeccanica e la fotografia era un ricordo del passato, di quando mio zio fotografo mi portava con sé a tenere il flash durante i matrimoni.
“Perché non ti trovi un hobby? Quando eri alle medie ti piaceva fotografare. Prova, no?”. Mi comprai così la mia prima reflex, una D40 pagata quasi 500€, mi venne da piangere quando la pagai. Ricordo ancora la prima foto scattata: la collina di Montevecchia, dal finestrino dell’auto, ancora prima di arrivare a casa col giocattolo nuovo.
Fu subito amore e, come dicono i giovani, mi prese “la scimmia”. Cominciai a fotografare qualsiasi cosa, fossero foglie, porte, finestre. mele, arance, persone, tutto. Facebook doveva ancora arrivare in Italia e c’erano ancora i forum di discussione, così mi iscrissi a quello che ritenevo più serio (era gestito da una nota e storica rivista di fotografia) e cominciai a fare domande, informarmi, leggere, provare, testare. Leggevo qualsiasi cosa parlasse di fotografia, osservavo centinaia di fotografie al giorno su Flickr. Mi confrontavo sul forum con chi ne sapeva più di me.
Non avevo tempo di fare un corso di fotografia, così dovetti arrangiarmi per capire i tanti concetti e mi comprai qualche libro. Diaframma, tempo di scatto, ISO, micromosso, messa a fuoco, profondità di campo: tutto imparato on line, col tempo e facendo prove sul campo. Scoprii ben presto che la fotografia era uno strumento con il quale potevo esprimermi; potevo osservare un albero e riprenderlo nel modo che più mi piaceva per dargli un significato. O una foglia, o una goccia d’acqua. Scoprii insomma, col tempo, che la fotografia mi apparteneva.
I miei occhi cominciavano a guardare qualsiasi cosa ci fosse in giro e nella mia testa ragionavo su come fosse meglio rappresentarla, se a colori o in bianco e nero, e se il bianco e nero fosse stato spento oppure no. Mi comprai una macchina a pellicola, iniziai a sviluppare i rulli in bianco e nero e successivamente iniziai anche con le pellicole a colori. Che uso ancora oggi e che adoro. Cercavo costantemente di migliorare, sottoponendo le mie fotografie alle critiche più dure di chi ritenevo più bravo di me, senza difendere a spada tratta le mie immagini. Scoprivo che foto che ritenevo bellissime venivano considerate banali e scialbe. E immagini per me inutili, nate quasi per gioco, erano ritenute degne di nota e che potevano far nascere qualcosa di più interessante.
Dopo poco quasi due anni la D40 con l’obiettivo di serie divenne “stretta” e passai a una D80, che poi divenne una D200, poi una D300 e così via fino all’attuale D750. Poi arrivò Facebook e cominciai a mostrare le mie foto ad un pubblico più ampio che non fossero i 50 amici del forum. E con Facebook arrivarono altri amici, altri fotografi, altre scoperte. Man mano che passava il tempo accumulavo immagini, fotografie, spunti di riflessione e di stimolo. E critiche, feroci e terribili.
Poi nel 2009 chiesi a un amico di fargli da assistente ad un matrimonio: “Sei sicuro? Guarda che è dura”. “Sicurissimo”. Aveva ragione, fu una mazzata: tornai stremato con un migliaio di foto, di cui forse ne salverei adesso una o due, ma contento. Mi era piaciuto molto e volevo continuare.
Ho investito molti soldi in ottiche, nel tentativo di trovare quelle che più mi si addicevano: credo di aver provato fino a ora qualcosa come 50 ottiche diverse, tra fisse e zoom, ogni volta comprando e rivendendo manco fossi un mercante. È una fase di tutti i fotoamatori: l’acquisto compulsivo, perché si crede che con un’ottica più bella si facciano foto più belle. Ci misi un po’ a capire che non era proprio così.
Cominciai a lavorare costantemente come assistente e presi quindi più confidenza con la fotografia di matrimonio, che richiede attenzione, educazione, discrezione, precisione e forza fisica. Si, forza fisica, perché trotterellare in giro per 12 ore d’estate non è proprio semplice.
Iniziai a pubblicare qualcosa su FB e, di conseguenza, arrivarono quindi primi amici a chiedermi se avessi avuto voglia di fare da fotografo al loro matrimonio. Nel 2013 feci il mio primo matrimonio “in solitaria”. Fu una bella esperienza, molto difficile, ma imparai moltissimo. Cominciavo intanto a capire che concepivo la fotografia di matrimonio in un modo molto diverso da quello del mio collega: mi piaceva sperimentare, provare inquadrature e situazioni di luce nuove, situazioni divertenti e non tipiche della fotografia di matrimonio.
Nel 2014 ebbi l’occasione di lavorare come assistente presso uno studio fotografico di Milano e lì imparai che la fotografia è anche precisione e metodo. E che per fare passi avanti ci vuole una grossa dose di umiltà: scoprii che fotografare una maglia su un manichino era molto più difficile di un matrimonio. Arrivarono così anche le prime richieste di servizi aziendali, principalmente eventi. Nel 2015 decisi di dare una “regola” a quello che stava diventando un vero e proprio secondo lavoro e così aprii partita iva e investii un po’ di soldi in un sito web.
Nel 2016 triplicai il numero di matrimoni rispetto al 2015 e così mi trovai davanti a un bivio: mollare il lavoro da stipendiato a tempo indeterminato, in una multinazionale solida, o iniziare una strada nuova, che mi rendeva felice di quello che facevo?
La scelta non fu semplice, di questo devo ringraziare i miei amici e mia moglie, fondamentali nell’aiutarmi a capire se fosse la cosa più giusta da fare.
Riassumendo, quali furono i fattori che mi hanno portato a questo cambiamento?
- Umiltà: non nasciamo tutti con il talento di Bresson o il coraggio di Capa. Dobbiamo sempre essere pronti a prendere critiche, anche pesanti, a volte anche violente, a incassare, a non ribattere per il semplice fatto che “l’ho fatta io ed è bellissima”. L’umiltà ti porta a informarti e studiare continuamente, ti porta a non restare mai fermo, ti spinge a cercare sempre qualcosa di più nelle tue fotografie.
- Studiare: tecnica, composizione, sguardo, conoscenza degli altri fotografi (che non sono solo HCB, Vivian Maier e McCurry).
- Autocritica: pubblico solo ciò che ritengo veramente valido: non mi piace pubblicare dieci foto al giorno, tutte mediocri. Piuttosto ne pubblico una a settimana, ma deve essere perfetta.
- Non aver paura di sperimentare: come dice un mio amico, “uscire dalla comfort zone”, cioè uscire da quell’area entro la quale sappiamo che andrà tutto bene. Chi non rischia rimane fermo dov’è e viene facilmente travolto. Dobbiamo però rimanere saldi in ciò che siamo, evitiamo di imitare i grandi, di fare una foto “come la farebbe nome_di_fotografo_famoso”, perché noi non siamo lui..
- Networking: fare network, fare rete. Che non vuol dire “averci le conoscenze giuste”, o “essere raccomandato”. Tutt’altro. Fare network vuol dire creare una rete di rapporti di fiducia e di stima reciproca con le persone che si incontrano, siano essi fotografi professionisti o fotoamatori.
- Educazione, rispetto: verso i colleghi, verso i clienti, verso tutti quelli che vedono il mio lavoro su facebook. Siamo prima di tutto persone, poi fotografi.
- Aver pazienza: a differenza di quanto vogliono farci credere, non si diventa fotografi in 48 ore. A volte ci vogliono anni.
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